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Je suis Charlie?

L’attentato alla redazione di Charlie Hebdo non è solo un attentato alla libertà di satira o di stampa, anzi alla libertà in generale; è un attentato alla pace dei popoli. Non vorrei sembrare fautore di dietrologia (materia peraltro che non amo particolarmente), tuttavia vorrei porre l’attenzione, o meglio, degli interrogativi, delle riflessioni su alcuni elementi che questa orribile strage mi ha fatto saltare agli occhi.

Per esempio, la nazionalità degli attentatori. Abbiamo sempre pensato ai terroristi di Al Qaeda come a arabi di paesi del Medio Oriente, fanatici imbevuti fin dalla loro nascita all’antimperialismo occidental-americano, sauditi, o iraniani, o afghani o chi per loro che cresciuti in un humus arretrato e subculturale (dei retrogradi alla taliban) che odiassero noi e la nostra cultura per partito preso, comunque gente e popoli lontani da noi, “l’altro”, il nemico più classico. L’11 settembre newyorkese aveva corroborato questa tesi: il commando che abbatté le Twin Towers era per intero costituito da arabi provenienti dalla penisola arabica – 15 sauditi, 2 arabi degli Emirati, un egiziano e un libanese.

Già tre anni dopo, l’11 marzo 2004 in occasione dell’attentato di Madrid, non si ebbero più notizie certe sulla nazionalità degli attentatori, si diede per assodata la matrice islamica di Al Qaeda ma parecchi dettagli non furono mai chiariti: chi partecipò? Chi vendette l’esplosivo? Chi fiancheggiò in territorio spagnolo i terroristi?

L’anno successivo, 7 luglio 2005, a Londra si ebbe il terzo grande attentato di Al Qaeda in territori occidentali (da questa mia breve disamina ho tralasciato i tanti attentati precedenti di matrice islamica o palestinese, che videro soprattutto la Francia teatro delle rivendicazioni). A Londra, per la prima volta, comparve il primo attentatore nato in Inghilterra – Hasib Hussain – inglese di seconda generazione, e si annoverò fra gli altri persino uno di origini giamaicane; di certo la Giamaica non fa parte della penisola arabica né tantomeno è un paese famoso per essere musulmano, anzi al contrario è a netta e schiacciante maggioranza cristiana.

Ma arriviamo ai nostri giorni, al famigerato e spaventevole Isis, e alla strage di Charlie Hebdo.

Del Califfato creatosi in Iraq e Siria la cosa che più di tutte salta agli occhi è il gran numero di combattenti “stranieri” (stranieri rispetto alla penisola arabica, appunto) che sono andati a ingrossare le fila dell’Isis. Secondo alcune stime di “The Economist” ci sarebbero tremila uomini di nazionalità europea, di cui sì un migliaio ceceni, ma gli altri sarebbero francesi e inglesi. Secondo il “New York Times” gli europei sarebbero duemila cui si aggiungerebbero un centinaio abbondante di americani.

Nel massacro avvenuto alla redazione di Charlie Hebdo la testimonianza dei sopravvissuti, secondo cui i componenti del commando parlavano perfettamente francese, oltre che il ritrovamento delle carte di identità – certo questi che mollano le carte di identità nella macchina appena rubata, mah?! – lascerebbe supporre che non erano pazzi esaltati primitivi scimmioni entrati clandestinamente in Europa attraverso le zattere che tanto spaventano i tranquilli cittadini italiani e europei, bensì sono cittadini partoriti dalla stessa pancia dalla quale siamo partoriti noi stessi, con buona pace di leghisti, fascisti e neokukluxkanini che credono di salvaguardare la nostra libertà e la nostra pace erigendo muri sulle coste o sparando a vista su barconi e zattere. La subitanea stupida affermazione del presidente della Regione Lombardia (quel tipo con gli occhiali rossi, ex marxista-leninista e di Democrazia proletaria, il cui cognome significa in lingua popolare significa “testicoli”): “Sospendiamo Schengen” mira nella direzione di voler acuire uno scontro all’interno della nostra stessa società.

Il terrorismo di matrice cosiddetta “islamica” si può fermare solo con interventi strutturali e sociali, innanzitutto in casa nostra, a seguire forse nel loro mondo di riferimento; poi è necessario che tutto il mondo islamico stigmatizzi e circoscriva questi “black bloc” (mi si passi l’ardito paragone), affinché l’isolamento e il disconoscimento faccia perdere loro appeal o perlomeno faccia perdere loro la maschera religiosa dietro cui si nascondono.

E alla fine un po’ di domande che mi frullano nel cervello, alcune fin dai tempi in cui scrissi La resa: cosa e/o chi si nasconde dietro Al Qaeda? Le metastasi di quale cancro sono gli integralisti europei che vanno a combattere per l’Isis? Davvero delle vignette satiriche possono spingere tre ragazzi a fare quello che hanno fatto per puro fanatismo religioso? E anche fosse, i Kalashnikov e la logistica chi glieli ha forniti? Non sono domande cui possono dare risposta delle semplici indagini di polizia, così come invece sarà. Bisogna ripensare a un modello sociale, bisogna ripensare a un equilibrio internazionale che non passi dalla Bce o dalla Banca mondiale – credo, temo, spero, altrimenti potremo dire che siamo solo agli inizi di una guerra di ben altre dimensioni e motivazioni.

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